La città dei 15 minuti: i cantieri aperti in Italia e in Europa
Articolo pubblicato giovedì 31 Marzo 2022

Il 2020 è stato un anno choc. La pandemia ha colpito i luoghi della socialità, gli spazi per l’incontro e ci ha fatto riscoprire la centralità della casa. Il luogo privato per eccellenza è diventato rifugio, ma anche ufficio per continuare a lavorare in smart working. La grande trasformazione, si diceva nei primi mesi di pandemia, avrebbe prosciugato le grandi città, lasciando milioni di pendolari nei piccoli centri, collegati con una buona rete e magari più produttivi. Sarebbe stata la fine delle metropoli così come le abbiamo intese. A due anni di distanza sappiamo che lo scenario è andato diversamente. Il ritorno in ufficio è una realtà per moltissime aziende e, presto, con la fine dello stato di emergenza potrebbe configurarsi anche per moltissime altre realtà. In tutto questo le città come stanno cambiando? Su City Vision abbiamo già parlato delle città dei 15 minuti, concetto che riassume una serie complessa di interventi urbanistici e non solo. Spiegato in un tweet: la città dei 15 minuti è quella in cui servizi e punti di interesse (come bar, parchi, scuole, negozi, biblioteche) sono a un quarto d’ora di distanza da casa.

Nel libro Abitare la prossimità di Ezio Manzini, edito da Egea, si parte da una considerazione interessante. Lo smart working non è un elemento sufficiente per far vivere di più i quartieri. “Ciò che questo scenario (il lavorare da casa, ndr) propone può apparire di grande comodità per chi ne fruisce i servizi, ma non lo è affatto per tutti coloro che di questi servizi sono gli erogatori […] Usando la tecnologia per portare tutto a domicilio, si spinge alle estreme conseguenze la tendenza da tempo in atto verso l’individualizzazione delle persone e la loro chiusura nel privato”. Una circostanza simile, è evidente, non si può conciliare con una città policentrica, in cui ogni quartiere, ogni via, ogni piazza sono candidati a diventare luoghi di socialità. La sfida è enorme, soprattutto dopo due anni in cui il digitale ha invaso le vite di molti. Ecco quattro città europee che stanno lavorando in questa direzione.

Parigi

Parigi in Europa rappresenta un modello. La sindaca Anne Hidalgo ha puntato su questo tema nella campagna elettorale per la rielezione. Tra le azioni messe in campo ci sono gli investimenti su nuove piste ciclabili, inaugurati in tempi di ingressi contingentati sui mezzi pubblici; la capitale francese sta togliendo anche spazio alle automobili, eliminando parcheggi, e nell’estate 2021 ha introdotto un limite di velocità a 30 km/h su buona parte delle strade; tra le altre iniziative citiamo anche l’apertura dei parchi scolastici al di fuori dell’orario delle lezioni, affinché tutto il quartiere possa beneficiare del verde.

Milano

Il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha spostato l’idea della città a 15 minuti lanciata da Parigi. L’ex manager di Expo – un evento che ha trasformato il capoluogo lombardo – è dunque chiamato con la sua giunta a porre le basi per un nuovo cambiamento. Fornita di un modello di trasporto pubblico giudicato efficiente e sempre più capillare, la città sconta ancora le scelte fatte in epoche passate, quando – usando un termine ripreso dallo stesso testo di Manzini – ogni area del territorio urbano si è specializzata (perdendo dunque servizi) costruendo così una “città delle distanze”, basata sugli spostamenti delle persone. In questo modello le automobili rappresentano uno dei problemi principali per il traffico, la vivibilità delle strade e la qualità dell’aria.

Barcellona

Un’altra città europea che sta seguendo il modello della città a 15 minuti è Barcellona. Qui l’obiettivo è costruire grandi isolati (unendone 9 in tutto fra loro), le cosiddette Superilles. L’amministrazione di Ada Colau ha già avviato un paio di sperimentazioni di quella che Manzini ha chiamato “la città delle prossimità”. Il modello ovviamente non può essere replicato in maniera identica da città a città: ciascun contesto ha le proprie peculiarità. Quel che gli esperti sostengono è però che il trend è senz’altro in linea con gli obiettivi ambiziosi che in Europa andranno raggiunti per la transizione ecologica.

Oxford

La città dei 15 minuti non riguarda soltanto le capitali o le grandi città. In Inghilterra il caso di Oxford testimonia il fatto che anche le realtà più piccole (parliamo comunque di 150mila abitanti) possono diventare laboratori di iniziative. Il comune ha introdotto una congestion charge che limita l’ingresso alle auto non elettriche nel proprio centro storico medievale. Anche in questo caso la questione ambientale è centrale per un progetto che rimetta al centro le persone. Al tempo stesso, cambiare una città non significa soltanto intervenire sul traffico. La città dei 15 minuti è un cantiere aperto, i cui risultati potrebbero richiedere piani a lungo termine.

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