C’è una disciplina che nasce nelle periferie francesi negli anni Ottanta e che oggi è diventata un linguaggio universale del corpo e dello spazio urbano: il parkour.
Il termine viene dal francese parcours, cioè “percorso”. È l’arte di spostarsi da un punto all’altro nel modo più diretto, fluido ed efficiente possibile — superando gli ostacoli non distruggendoli, ma reinterpretandoli.
Il parkour non è solo acrobazia. È una filosofia del movimento e dello sguardo. Chi lo pratica, il traceur, non cerca la via più facile, ma quella più significativa. Legge la città con gli occhi del corpo, trova possibilità dove altri vedono limiti, trasforma l’ambiente urbano in un terreno di esplorazione e di libertà. Incontra la città, prova a capirla saltandoci dentro, vivendola, misurandola con le proprie capacità.
E se ci pensiamo, questa è anche l’essenza delle città intelligenti: non spazi dominati dalla tecnologia, ma ecosistemi capaci di adattarsi, di reagire, di reinventarsi. Per questo, il parkour può insegnarci molto su come immaginare, oggi, la città del futuro. Da questa prospettiva, offre quattro lezioni preziose.
1. La città è uno spazio da reinterpretare
Nel parkour ogni elemento — un muro, una panchina, una scala — diventa parte del percorso. È un invito a guardare la città con occhi nuovi, a trasformare gli ostacoli in opportunità. Allo stesso modo, le smart city più evolute non nascono dal nulla, ma dalla capacità di reinterpretare ciò che già esiste, rendendolo più utile, vivo e connesso.
2. La città sta stare nel flusso e adattarsi
Il parkour è un dialogo continuo con l’ambiente. Il flow è la capacità di muoversi in modo fluido, reagendo ai cambiamenti del contesto. Così dovrebbe essere anche una città intelligente: un sistema capace di adattarsi in tempo reale, di reagire al traffico, al clima, ai bisogni dei cittadini, mantenendo equilibrio e continuità.
3. Un’intelligenza urbana digitale, ma soprattutto relazionale
Ogni gesto del parkour nasce da una negoziazione fisica con lo spazio. È un atto di fiducia: nel proprio corpo, nell’ambiente, negli altri. Per chi progetta smart city, la lezione è chiara: l’intelligenza urbana non è solo digitale, è relazionale. Le città devono essere pensate per essere vissute, non solo per essere efficienti.
4. Dalla città inclusiva alla città equa
Spesso pensiamo che il parkour sia riservato a giovani atleti. Ma il suo principio più profondo è un altro: tutti possono fare parkour. La sfida è arrivare da un punto all’altro a partire dalle proprie capacità. Ecco allora il senso più autentico di città equa.
Non voglio più parlare di città inclusiva o accessibile, perché queste parole, pur giuste, presuppongono che ci sia qualcuno da includere, o a cui concedere accesso. Voglio sognare la città equa.
Una città equa, invece, è quella che riconosce le differenze e consente a ciascuno di compiere il proprio miglior percorso per raggiungere la propria destinazione.È la città che, come diceva Don Milani, non fa parti uguali fra diseguali: perché sa che la vera giustizia non è trattare tutti allo stesso modo, ma dare a ciascuno le condizioni per potersi muovere liberamente, nel corpo e nella vita.
E forse, in questo, il parkour e la nostra idea di città si incontrano davvero. Perché la città intelligente non è solo quella che funziona: è quella che si muove, che impara dagli imprevisti, che trova nuove vie quando sembra non ci sia spazio per passare.
Lo scorso anno agli Stati generali delle città intelligenti ho raccontato il sogno di una città serendipica: una città capace di generare scoperte inattese. Quest’anno, dopo un nuovo viaggio di City Vision attraverso l’Italia — da nord a sud, nei territori, con i comuni, con le aziende, con gli innovatori — capiamo che quella serendipia non è un concetto teorico.
È ciò che accade davvero quando la città incontra le persone giuste, quando il territorio diventa laboratorio, quando l’ostacolo si trasforma in movimento.Il parkour, in fondo, è questo: una forma di intelligenza in azione. E la città intelligente del futuro — la città che vogliamo costruire insieme — sarà così: viva, equa, in movimento. Capace di adattarsi, di sorprendere, di inventare ogni giorno il proprio percorso.
Le immagini pubblicate in questa pagina sono la prosecuzione di un percorso, quello che la ceramista e illustratrice – e amica di City Vision – Annamaria Quaranta ha avviato nel 2024. Una riflessione sulla città seredipica che quest’anno ha preso la forma di una serie di mattonelle, ciascuna delle quali cattura un fotogramma di un salto: slancio, volo, atterraggio. Il movimento trasforma l’ostacolo in possibilità, il salto in fioritura.
Domenico Lanzilotta